Home E Associazione Punta GiaraXVII EDIZIONE”AI CONFINI TRA SARDEGNA E JAZZ”Sant’Anna Arresi – Piazza del Nuraghe22 – 25 agosto 2002 ore 21.00 presentazione


Associazione Punta Giara
XVII EDIZIONE
“AI CONFINI TRA SARDEGNA E JAZZ”
Sant’Anna Arresi – Piazza del Nuraghe
22 – 25 agosto 2002 ore 21.00


presentazione | il calendario 

FESTIVAL AI CONFINI TRA SARDEGNA E JAZZ
Grandi individualità, esclusive assolute e progetti originali

L’individualità artistica, come segno distintivo – uno dei tanti, ma indubbiamente centrale – dell’espressione musicale afroamericana, esaminata da punti di vista diversi e stimolanti, sia per i musicisti che per i fruitori. La produzione originale di progetti che vedono, sulla scena, giovani ma già affermati protagonisti del jazz italiano alle prese con la realizzazione di idee e concetti estetici del tutto personali, grazie anche alla collaborazione con prestigiosi “colleghi”. “Prime” di livello continentale, esclusive nazionali, occasioni imperdibili per gli appassionati e i neofiti, momenti di incontro con il grande jazz.

Sono questi i tratti peculiari della XVII Edizione del Festival Internazionale “Ai confini tra Sardegna e jazz”, organizzato dall’Associazione Culturale Punta Giara: sul palco della Piazza del Nuraghe, a Sant’Anna Arresi, dal 22 al 25 agosto 2002, otto esibizioni che realizzeranno otto diverse situazioni. Scorrendo il programma della Rassegna e l’indirizzo seguito nell’allestimento del cartellone, emerge un legame preciso con la fortunata Edizione dell’anno passato: se infatti la produzione originale si pone per l’ennesima volta come peculiarità “storica” (l’aggettivo, per una vicenda che si approssima ai quattro lustri, non apparirà usurpato) del Festival, la proposizione di una figura artistica di grande personalità, nell’ambito di contesti differenti, diviene progressivamente uno dei fil rouge che caratterizza e caratterizzerà la storia recente e prossima.

A giocare il ruolo di mattatore, per le prime tre serate, sarà Mal Waldron, interprete della tastiera nero-avorio dallo stile di raffinata aderenza alle radici del pianoforte jazz, elaborato partendo dal difficile modello monkiano e cresciuto nei decenni (è nato a New York nel 1926) lungo decisive collaborazioni con Mingus (Pithecanthropus Erectus’), Billy Holiday (Lady In Satin’), Eric Dolphy (At Five Spot’), Max Roach (It’s Time!’), Steve Lacy (Reflection’), con cui ha condiviso, spesso in duo, l’amore per Thelonious Monk. Uno stile scarno, dunque, spigoloso, di forte impronta ritmico-percussiva, timbricamente scuro, ombroso, frutto di un mondo capace di conservare affascinanti “elementi di mistero” (Giuseppe Piacentino).

Nel Sulcis presenterà un concerto con il suo quartetto ed esibizioni in duo, una delle forme espressive in cui meglio si manifesta il suo ferreo lavoro di sintesi: il primo con il sassofonista Dave Murray, il secondo con la collega Geri Allen.

Di estremo interesse l’esclusiva rappresentata dal quartetto di Dave S. Ware, che arriva a Sant’Anna Arresi portando con sé le lusinghiere parole spese per lui dal sommo Sonny Rollins, che l’ha ripetutamente indicato fra i suoi sassofonisti preferiti.

Una cifra stilistica, la sua, che può definirsi bipolare: una manieristica riproposizione degli stilemi free anni Sessanta, per certi versi, che può altresì interpretarsi come scelta creativa fieramente indipendente di un’artista calato in epoca in cui l’eclettismo impedisce il dominio di una linea stilisticamente dominante.

 “Quando non si nota all’orizzonte – ha scritto Stefano Merighi a proposito di Surrendered, uno degli ultimi lavori di Ware – alcuna esperienza che incarni lo spirito musicale del tempo, ma si è avvolti da un babele di stili intrecciati, i valori del recente passato si possono tranquillamente ribadire con coerenza e rigore”. Valori, quelli del radicalismo musicale afroamericano, che, nel clima “pacificato” degli ultimi due decenni del “secolo breve”, sembravano aver perso progressivamente senso ed attualità, per certi versi trasformandosi – e contraddicendo la propria essenza fondante – in una sorta di “tradizione”.

Caduta l’illusione della “fine della storia” e di un “nuovo ordine mondiale (ed artistico)”, con la ripresa della conflittualità sociale e della contestazione al “pensiero unico” globale, sembra ricrearsi anche nella musica e, specificamente, nel jazz, il terreno propizio per una rinnovata attenzione alla new thing, come possibile fulcro di nuove strade, aderenti allo spirito dei tempi: la traccia seguita nel caso concreto è quella tardo-coltraniana, concentrata sul rigore mistico e denso di spiritualità.

Nella sua ultima fatica discografica (Live in Netherlands’), tuttavia, Dave S. Ware non disdegna il confronto con il modello-Rollins – ma anche, guarda caso, con le esplorazioni solitarie di Dave Murray dei primi Ottanta – proponendo quattro tracce in solo, nelle quali, all’impulso espressionista si affianca l’insolita ricerca del dettaglio e delle architetture. Nel quartetto, spicca il pianista Mattew Shipp, che, definito spesso un epigono di Cecil Taylor, palesa più di un legame con una linea che, partendo da Bud Powell, arriva a McCoy Tyner attraverso Randy Weston e Andrew Hill, proponendo in ultima istanza un’entusiasmante sintesi di grazia, audacia e contemplazione.

Di sicuro impatto, infine, per quanto riguarda gli ospiti stranieri, il ritorno esclusivo sulla scena nazionale di BassDrumBone, trio caratterizzato dal forte tasso di eclettismo, che schiera Ray Anderson al trombone, Mark Helias al contrabbasso e Gerry Hemingway alla batteria. Un’opzione stilistica che è lo specchio fedele della molteplicità di esperienze che hanno caratterizzato la carriera Anderson: passato dal r&b, il funky e il dixieland delle origini, all’avanguardia radicale delle collaborazioni con Anthony Braxton (nella cui formazione rimpiazzò un “dadaista” della tempra di George Lewis), Roscoe Mitchell, Barry Altschul.

Così come quella del contrabbassista, uno degli esponenti tecnicamente ed espressivamente più validi, fra quelli uscita dalla temperie degli anni Ottanta, mentre Hemingway, percussionista fondamentalmente acustico, non disdegna l’utilizzo di nuove tecnologie, cimentandosi nella composizione per live electronics e la video animation.

Ampio lo spazio che l’Associazione Culturale Punta Giara dedica alla scena italiana. A partire da Aires Tango, che presenterà al cospetto del Nuraghe il suo ultimo lavoro in studio registrazione: Aniversario, per cui si è avvalso, anche per l’esibizione di Sant’Anna Arresi, dell’apporto di un ensemble composto da venti archi e sette legni, arrangiati da Paolo Silvestri.

Il gruppo nasce nel 1994 da un’idea del sassofonista e compositore argentino Javier Girotto che ispirandosi alle proprie radici musicali, con riferimento al disegno intellettuale di Astor Piazzolla, e fondendole con le modalità espressive tipiche del jazz crea un terreno musicale nuovo, orientato verso la libertà espressiva e la fusione degli echi del passato con le istanze dei linguaggi musicali moderni.

Aires Tango arriva così ad un repertorio di musica originale in progressiva evoluzione, sia per la natura improvvisativa che per il continuo ricambio del materiale musicale: cominciano inoltre una serie di collaborazioni dal vivo con vari solisti, tra cui Enrico Rava, Gianni Coscia e Antonello Salis. Il gruppo è completato dal pianista Alessandro Gwis, il contrabbassista Marco Siniscalco e il percussionista Michele Rabbia.

“Essere Jaco”. Questo è il sogno di qualsiasi bassista elettrico minorenne ad un certo punto del suo iter di studi”. Una constatazione ovvia, da cui si sviluppa un progetto tra i più interessanti della scena jazzistica nazionale.
Un amore, quello per l'”inventore” del basso elettrico nel jazz – Jaco Pastorius, appunto – che a Maurizio Rolli, specialista anch’egli delle quattro corde amplificate, oltre che del contrabbasso, ha ispirato un lavoro discografico, Moodswings – A Tribute to Jaco Pastorius’, realizzato con la A.M.P. Big Band.

Quella che approda al Festival “Ai confini tra Sardegna e jazz” è dunque un’opera di jazz orchestrale che, nel tributare un omaggio al modello inarrivabile, non opera né la revisione di una musica che, dice lo stesso Rolli nelle note di copertina, “non ne avrebbe alcun bisogno”, né la riproposizione di cover su cui i solisti possano esercitare la propria perizia tecnica. Rolli, reduce da esperienze al fianco di compositori e arrangiatori del calibro di Paolo Damiani, si esercita nella scrittura alla testarda ricerca di un linguaggio proprio, vera lezione di tutti i grandi della musica e dell’arte.

Uno sforzo ripagato da pregevoli risultati, grazie a coraggiose trovate e a un impasto musicale dai più diversi aromi, proprio come la musica di Jaco: bop, fusion, latin jazz, funky, da cui emana, ad ogni modo, una rispettosa, commossa compostezza, associata ad un lirismo che va divenendo progressivamente la cifra stilistica precipua del jazz italico. Sarà della partita, per questa produzione originale, il sassofonista Bob Mintzer che, oltre ad aver lavorato con Pastorius, vanta esperienze nel campo della fusion – quella, ad esempio, con i Yellowjackets – che lo renderanno partner prezioso, anche per altro nell’ambito dell’arrangiamento.

Resta da citare, ultimo ma tutt’altro che minore, lo stimolante progetto che il chitarrista Massimo Ferra ha predisposto appositamente per l’edizione 2002 della Rassegna arresina: un sogno che si realizza per il musicista cagliaritano, quando salirà sul palco con il suo trio e assieme a Mike Mainieri, che torna nel Sulcis dopo una fortunata esibizione in compagnia di partner del calibro di Joe Lovano.

Ferra ha preparato da tempo il “terreno” per l’incontro con l’ex vibrafonista degli Steps Ahead: una serie di partiture immaginate appositamente per l’appuntamento, nelle quali il portamento riflessivo e rarefatto, a la Jim Hall, delle sei corde si sposerà con il brio cool di Mainieri. Per il chitarrista, un amico del Festival che vanta numerose esibizioni nella Piazza del Nuraghe, un autentico banco di prova, un passo decisivo in un percorso che merita il salto di qualità.