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CIRCUITO TEATRALE
REGIONALE SARDO
STAGIONE DI PROSA 2000/2001

La Clizia
libero adattamento di Ugo Chiti da “Clizia” di Niccolò Machiavelli
Arca Azzurra Teatro, Universita’ degli Studi di Siena
interpreti Massimo Salvianti (Nicomaco), Lucia Socci (Sofronia), Giorgio Noè (Cleandro)
regia di Ugo Chiti
scene Daniele Spisa; costumi Gabriella Ciacci

DEBUTTO: mercoledì 13 dicembre, La Maddalena, Teatro Primo Longobardo,
inizio ore 21

REPLICHE: 14 dicembre, Olbia, Teatro Olbia; 15, Tempio, Teatro Giordo; 16, Meana Sardo, Teatro S. Bartolomeo; 17, Ozieri, Teatro Civico; 18, Oristano, Teatro Garau; 19, Capo S. Lorenzo, Teatro S. Lorenzo

La Clizia è commedia piena di irresistibile caustica comicità, e insieme di farsesca e feroce tragicità. La Clizia, anche per questo, per lo spirito acre e forte che la anima, risulta un passaggio quasi obbligato per la nostra compagnia nella ricerca delle radici del proprio linguaggio; per confrontarla con il nostro percorso drammaturgico ci siamo presi la libertà di una riscrittura. Non avremmo mai “operato” così radicalmente all’interno di una commedia perfetta e profonda come “La mandragola”, dove l’intreccio è una sorta di teorema che sembra non accettare scomposizioni o ribaltamenti di struttura. Ma Clizia si presta, invece, ad una divertita e divertente occasione per sperimentare disegni di caratteri o intriganti complicità famigliari, attraverso un linguaggio denso e carnale.

Il ridicolo innamoramento del vecchio Nicomaco per la “quasi figlia” Clizia oltre ad essere catastroficamente destabilizzante per lui, lo è ancora di più per il ristretto nucleo famigliare, moglie e figlio, e per quella società bottegaia che lo aveva eletto come modello di comportamento.

Una società chiusa in un piccolo ordine apparente e soprattutto rassicurante, una moralistica congrega che reagisce alla novità con “urticante” sarcasmo.

La figura “indegna” di Nicomaco porta in sé lo scompiglio di un pensiero disperatamente inopportuno, un’arroganza che sembra dare voce ad un’illusoria libertà senza più tenere conto delle convenienze, dell’età. Nicomaco dimentica la vecchiaia o forse dà alla vecchiaia una specie di ruggito vanaglorioso che non riesce a nascondere l’umana consapevolezza della morte.

In questa riscrittura del testo, i personaggi non rispettano tanto le convenzionali dinamiche della beffa, quanto attivano, attraverso l’inganno, una vitalità rabbiosa, una difesa di tutte quelle opportunistiche certezze messe in crisi dall’insana passione di Nicomaco. Da questo contrasto prende così avvio una specie di guerriglia ora tumultuosamente chiassosa ora segreta e notturna, una comicità d’intenti che spesso sconfina dal disegno amaramente autobiografico del Machiavelli.

L’adattamento dichiara l’aperto giuoco teatrale accentuandone la componente popolare e nello stesso tempo tiene presente la sotterranea tragicità come l’inquietante “morale” che segna che si contrappone all’omologato silenzio dell’opportunismo.