Il maestrale oggi ha reso il cielo sereno: non ci sono nuvole, non c’è umidità, l’azzurro è compatto.
A Cardedu – sul mare – fa caldo, ma quando arriviamo al Monte S. Antonio l’aria è fresca.
Falesie, pareti alte verticali emergono bianche dal verde cupo della macchia lussureggiante.
Tacchi a perdita d’occhio: il territorio è fratturato, grandi massicci calcarei squadrati, separati da valli profonde. Non puoi non pensare alla forza degli elementi.
Sullo sfondo, lontano il mare della costa ogliastrina, perso nella luce dispersa del mattino.
Arriviamo: ai bordi della strada stretta decine di auto, ai piedi della grande falesia decine di persone.
Eccoli sulle pareti di roccia, i climbers, gli amici delle falesie.
Si lasciano il vuoto alle spalle, lo superano. E la montagna li aiuta.
Si incollano a pareti più che verticali, che la natura ha creato per la lucertola, non certo per l’uomo.
Salgono lenti, con calma, senza sforzo apparente.
Sembra che il contatto con la roccia risparmi loro la dura legge traente della gravità.
Sembra che la roccia li sospinga verso l’alto con la forza della lentezza, senza tensione.
Ma i muscoli invece sono tesi: te ne accorgi quando stai sotto la parete col muso all’insù e cerchi di capire come sia possibile.
Allora capisci che non è un prodigio, allora vedi la ragione, vedi il corpo, vedi lo spirito.
Allora capisci, vai oltre lo stupore: la bellezza dell’arrampicata è di fronte ai tuoi occhi.
L’occhio del climber cerca la presa e la mano si muove verso la roccia, guidata dalla ragione, guidata dall’istinto.
Trova una piccola ruga di pietra e chiede alla grande falesia di fare un miracolo: allora quella piccola piega di roccia sostiene, incredibilmente, tutto, il peso di un corpo.
La mano è tesa, le gambe divaricate verso due appoggi impensabili, il corpo si adatta alla pietra, ma tutto è leggero, dolce, quasi delicato.
Per vedere lo sforzo devi pensarci, devi ragionare.
Così, di ruga in ruga salgono: 10, 20, 30 metri.
È davvero una bella giornata.
La maggior parte dei climbers presenti partecipano alla gara.
Ma non si respira l’aria della competizione.
Si sta fra amici piuttosto, si parla, si ride e si arrampica.
In mezzo agli altri – ma non partecipano alla gara – le stelle del climbing:
Manolo, Francois Lombard e Maurizio Oviglia.
Il loro carisma è palpabile ma fanno parte del gruppo, nulla a che vedere con le pose di certi calciatori.
Capisci chi sono da come arrampicano: per loro la leggerezza è assenza totale di peso, sembra che la falesia li accolga, li protegga, spingendoli, dolce, verso l’alto.
Sono eleganti, si adattano alla pietra, non cercano di vincerla, ma la assecondano. Trovano percorsi fatti di piccole asperità e salgono, inesorabilmente.
La sera ci ritroviamo a cena ai piedi delle falesie. Si sta insieme, si mangia, si parla, si ride e si scherza.
C’è anche la premiazione, ma non c’è enfasi né retorica: i vincitori dicono che per loro gareggiare non è tanto importante.
Per alcuni bravissimi climbers questa è la prima gara e non sono convinti che ci sarà una seconda volta.
Oggi abbiamo scoperto l’arrampicata, oggi abbiamo ritrovato lo sport.