Home E Nuovi Stili di Turismo E MOUNTAIN BIKE>1° LIBYKE

LIBYKE  OVVERO… IL THE NEL DESERTO
il racconto di Vittorio Serra del Team Monolite

Nel cuore del Sahara, in mountain bike. Correre sulla sabbia, nel vento, su piste che sembrano portare al nulla. E invece arrivano a sterminate valli circondate da montagne di sabbia e rocce di arenaria. Fra pareti cosparse di graffiti, immagini di animali e piante di migliaia di anni fa.

Presentazione
La Libyke, alla terza edizione per gli specialisti della maratona, è, invece, alla sua prima edizione  per quanto riguarda la mountain bike. Si tratta di una corsa cronometrata a tappe nel comprensorio archeologico di Akakus, a sud della Libia. Il percorso, comprende ogni tipo di terreno: sabbia, dune, pietraie e sentieri battuti per un totale di 250 km.

Con le nostre mountain bike siamo quindi i pionieri, ma anche le cavie, della particolare formula di gara, la cui caratteristica peculiare è che “te la devi cavare da solo”, ossia essere autosuficciente nel superare le difficoltà del deserto, nel trovare la strada giusta, magari con l’ausilio del roadbook che ti viene consegnato alla partenza, ma soprattutto con un ottimo senso dell’orientamento. Pedalare forte assume una importanza secondaria. Non perdersi è essenziale. Ma questo lo scopriremo poi.

Questa formula estrema, applicata nei luoghi più selvaggi del pianeta è ormai molto collaudata e utilizzata da svariate competizioni di successo dedicate ai maratoneti.
Si pensi alla “Desert Cup”, maratona non stop di 162 km nel deserto della Giordania, con arrivo al favoloso sito archeologico di Petra. E che dire della massacrante “Maratone de sables”, mille partecipanti che per una settimana corrono nel deserto marocchino con lo zaino in spalla. Tutto ciò che necessita, acqua e cibi compresi, sta in uno zaino.

Queste corse quindi, a meta strada fra avventura da legionari e orientamento puro, hanno un nutrito stuolo di adepti e specialisti nel campo del podismo. Ma con la bici?
Nel mondo delle due ruote le cose cambiano parecchio. Per sua indole il ciclista non ama molto doversi districare con bussole e trip master, mentre è impegnato al massimo a spingere sui pedali e a guidare magari su di un terreno molto sconnesso.

Le formule di gara dedicate alle bici di solito sposano le caratteristiche dei rally, con percorsi tracciati, soprattutto se si tratta di frazioni cronometrate. Questo perché, se il terreno lo consente la bici può viaggiare a velocità notevoli, mentre a piedi, sia che ti devi orientare sia che il percorso è tracciato, la media non subisce notevoli variazioni.
Noi biker, non tanti per la verità, siamo quindi alla prima esperienza del genere.

Prima tappa
La prima tappa è di 42 km e non dovrebbero sorgere particolari difficoltà.
Al briefing l’organizzatore Patrizio Fiorini ci illustra le caratteristiche del percorso assicurandoci che i tratti poco pedalabili sono relativamente pochi, comunque minimizzabili con un buon orientamento e una felice scelta delle traiettorie più idonee per la bicicletta. Questo aspetto si rivelerà fondamentale e in breve tempo tutti noi diventiamo espertissimi nel riconoscere a colpo d’occhio il terreno più idoneo a km di distanza, per cercare di evitare il più possibile la sabbia traditrice che prima ti frena come se andassi sulla melassa, e poi ti costringe a scendere e spingere la bici. Il ciclista a piedi diventa un animale lentissimo, e la tappa si trasforma in un calvario se non si trova
presto un tratto pedalabile.

Si parte…
Fa ancora molto freddo alle 9 del mattino, quando ci schieriamo al via. Coprirsi eccessivamente sarebbe un errore: ancora pochi minuti e il sole comincerà a salire, e con esso la temperatura! Scattiamo in gruppo, ma dopo i primi km mi ritrovo in compagnia di Kurt Ploner. A tratti ci perdiamo di vista, in quanto spesso prendiamo piste diverse, mi volto indietro e non vedendolo penso di averlo staccato, invece eccolo, minuscolo, alcuni km di lato. Difficile capire chi nel momento sia realmente in vantaggio.

Ai controlli timbro arrivo comunque per primo. Qui hai anche diritto a un litro d’acqua che puoi prendere o meno. L’importante è che non abbandoni i contenitori vuoti o altro materiale inquinante lungo il percorso. Se vieni scoperto perdi la cauzione depositata.
Dopo il secondo controllo mi si apre un’immensa vallata di sabbia zeppa di sassi neri di tutte le dimensioni. Il CAP (posizione riferita  con la bussola) mi dice di andare a 90° e di infilarmi fra il tacco dell’altopiano e gli erg che si intravedono a una decina di km.
Pedalando, e spingendo la bici dove il terreno cede, dopo un ora circa mi ritrovo in mezzo a montagne di sabbia. Roba da farsi prendere dal panico se non fosse che noto stagliato in lontananza, ma visibile e quindi come se raggiunto, l’arco di arrivo.
Arrivo al traguardo primo, e solitario. Kurt Ploner, attardato anche da una foratura,  spunta dal deserto 17 minuti dopo. Terzo ci raggiunge Lillo Lenzi, dopo quasi tre quarti d’ora. Prima di lui arriva il vincitore fra i podisti, Marco Olmo.

…pensieri della sera
Il pomeriggio montiamo le tende e ci riposiamo osservando il meraviglioso scenario sahariano che ci circonda. Un cielo stellato e una notte illuminata dalla luna piena ci accompagna tra le braccia di Orfeo.
Siamo in un altopiano, a quasi mille metri sul livello del mare, e sul tardi il freddo si fa sentire. Soprattutto all’alba, quando alle sei e mezzo è ancora buio e ti devi alzare per smontare tutto, la temperatura, prossima ai zero gradi, ti invoglia a rimanertene accucciato dentro il sacco a pelo. Ma devi fare colazione e prepararti alla partenza di giornata, così con i primi movimenti il peggio passa e ti senti pronto a ripartire.

La seconda tappa non promette niente di buono, per noi biker. Almeno per chi con la bici vorrebbe pedalarci.
42 km che ci aspettano sono infatti un insieme di erg  e di vallate con fondo sempre sabbioso, come scoprirò strada facendo.
Inoltre, al briefing  ci spiegano che il percorso passa vicino al confine, per cui se sbagliamo strada finiamo in Algeria. – Che succede in tal caso se ci trova qualche pattuglia militare -? Chiede qualcuno. -Potrebbero prendervi a fucilate-, é la stringata risposta. – Ah, va bene, giusto per saperlo! –

Seconda tappa: tra mari di sabbia e spine
All’inizio la sabbia è abbastanza compatta e con il solito Kurt  prendiamo solitari la via del deserto, ora avvicinandoci ora perdendoci di vista. Difficile capire chi sia in vantaggio. Poi mi infilo a percorrere il centro di una vallata larga diversi km con il fondo sabbioso sempre meno compatto che mi costringe a spingere la bici. Mi volto indietro per vedere dove è Kurt. Non lo vedo, sembra sparito nel nulla. Intorno solo un mare di sabbia e i tacchi degli altopiani che si stagliano a decine di km. Continuo ad andare avanti cercando il modo più redditizio di portare la bici. Per fortuna la mia Monolite in carbonio pesa  meno di otto chili, ma ciò non impedisce di certo alla sabbia di entrare dentro le scarpette.

All’improvviso vedo Kurt. Non facevo che voltarmi per cercarlo e invece è un puntino piccolo davanti ai miei occhi. Da dove è passato? Di certo è entrato nella vallata lungo il fianco ovest. Li ha trovato terreno più scorrevole. Ora anche lui va a piedi, ma con quale passo! Ritrovo le sue orme, a fianco del solco delle ruote della bici. Provo a copiarle, ma la sua falcata è più lunga di una decina di cm almeno. Ciao  Kurt, ci rivedremo all’arrivo.
Per circa tre ore, e più di 20 km percorsi, le cose non cambiano. Dune immense ovunque e sabbia  dove affondi fino al polpaccio. Uno di questi comincia a farmi male e alla fine sarò costretto a fermarmi ogni 10 minuti per togliermi le scarpe e svuotarle dai granelli che pressano i piedi. La cosa più logica sarebbe andare scalzi, se non fosse che in questo mare di sabbia galleggiano spine di ogni genere. Come certi dischetti lignei di circa un cm pieni di aculei che si piantano nei copertoni della bici. Ogni 100 metri occorre staccarli prima che riescano a passare e provocare una foratura.

Dopo tanto tribolare, e perdendomi pure una volta, sorpassato anche da plotoni di maratoneti, che per correre vanno senz’altro meglio, arrivo finalmente in vista dell’arco naturale di Fozzigiaren  traguardo della tappa odierna.
Attorniato da immense e morbide dune, quest’arco di roccia arenaria, alto svariate decine di metri è senz’altro il più maestoso di tutto il Sahara. La valle che si apre dietro di lui e le dune che si stagliano in lontananza ne fanno un posto straordinario e dall’aria mistica. Non per niente sono venuti  fin qui per girare diversi esterni del film “Il Paziente Inglese”.

Tagliato il traguardo mi siedo su una duna a riposare. Kurt già lo fa da quasi 50 minuti. Pian piano arrivano tutti, con tempi variabili. Tempi comunque misurabili più con la clessidra (tanto per ricordare la sabbia) che con il cronometro.
In questa tappa, nella quale l’organizzatore Patrizio Fiorini ha forse sopravalutato le capacità di scorrevolezza delle bici su terreno molto sabbioso, appiedandoci tutti di fatto, si sono quindi giocate le mie possibilita di vincere la corsa su Kurt Ploner. Riprendere la mezzora di svantaggio in due tappe, sarà impresa dura, salvo imprevisti. Ma quelli non mancheranno, e il finale darà un responso neanche ipotizzabile al momento.

Il riposo…millenario
Le gambe fanno male a furia di trascinarsi a piedi sul la sabbia molle. A me soprattutto è come se mi avessero addentato i polpacci. Intanto ci troviamo a passare la sera in questo angolo di deserto. Il luogo dove siamo accampati è però un incanto e non fare un giro a piedi sarebbe imperdonabile. Tutto intorno all’arco si aprono delle vallate e le rocce, scolpite dal vento in varie forme, celano grotte e passaggi che ti si aprono all’improvviso. In molte pareti appaiono incise scene di caccia e di animali vecchie di 7.000-10.000 anni fa.

Questi graffiti sono arrivati quasi intatti fino a noi. Immagini millenarie di un popolo che non conosceva la scrittura, i leggendari Garamanti di cui parlava Erodoto. Vivevano in questo deserto migliaia di anni fa, quando c’erano foreste immense, scorrevano i fiumi e le praterie erano popolate da animali selvatici. Questo luogo è un immenso museo archeologico all’aperto. Scomodo da arrivarci, ma sempre aperto.
Dopo la solita ottima cena, che l’organizzazione ci prepara e serve nell’apposita tenda, tutti a dormire, in una notte senza oscurità. La luna brilla alta e piena, offrendoci un panorama stellato da mille e una notte.

Terza tappa
Per la terza tappa abbiamo una novità. Viste le difficoltà delle mountain bike sulla sabbia, l’organizzazione decide di tagliare i primi 40 dei 90 km previsti. Quindi, trasferimento sui fuoristrada e partenza della gara spostata più a nord. Partiamo da una pista con davanti a noi un terreno compatto e sassoso, senza particolari riferimenti. Un forte vento da sud, il Ghibli, ci spinge a favore.

Io e il solito Kurt partiamo in testa. Lo perdo di vista dopo un po’. Stavolta si va velocissimi, ma non stando con le ruote in una delle diverse piste che corrono parallele. E’ preferibile andare sempre fuoripista. Il terreno è infarcito di sassi di tutte le dimensioni, mediamente grossi come noci di cocco, ma è compatto e la bici riesce a prendere una gran velocità. Si tratta di avere occhio e schivare per tempo crepacci, buche e macigni.

L’imprevisto!
Lanciato verso una probabile seconda vittoria do uno sguardo al ciclo computer, ma all’improvviso segna zero. Cerco di farlo riavviare perché è fondamentale sapere i km che fai. Con orrore mi accorgo che manca il sensore della forcella. Continuo la gara valutando distanze e gradi solo a occhio. Passo il primo dei due controlli. Kurt non si è visto. Insisto seguendo per una decina di km la rotta a 340°, poi comincio a virare verso ovest, come dicono le note a 290°. Dovrei trovare il secondo controllo timbro, ma non lo vedo. Mentre mi guardo intorno vedo in lontananza un minuscolo puntino. È Kurt Ploner, è sulle mie tracce e me lo immagino pedalare a tutto vapore.

Si apre alla fine una lunga vallata in fondo alla quale si intravede la verde sagoma dell’ arco di arrivo. In breve la raggiungo, seguito a pochi minuti da Kurt. In verità, resomi conto di aver saltato un timbro vorrei tornare indietro a cercarlo ma qualcuno mi assicura che non ne varrebbe la pena,  essendo la penalizzazione di due ore, tempo più che sufficiente per lasciare la classifica cosi come è, avendolo saltato pure Kurt.
Quando finalmente arrivano tutti, è subito un gran cercare il regolamento. Cosa salta fuori?

La penalizzazione è di sei ore! Tre volte il tempo che ci vuole per concludere l’intera tappa. L’esterrefatto Lillo Lenzi si ritrova in testa. Io e Kurt nelle retrovie. Avremmo mancato il timbro si e no per 2 km …!
Chissà a cosa stava pensando  Patrizio Fiorini quando ha fatto il regolamento. Forse alle problematiche dei maratoneti, non certo a quelle delle bici.

La pietra…
Ci apprestiamo a montare l’ultimo campo. Siamo in una conca sabbiosa protetta da due grossi massici rocciosi anneriti dal sole. Il terreno tutt’intorno è infarcito di sassi dalle forme intriganti e fantasiose. Molti si rivelano dei geodi, vuoti all’interno. Ne raccolgo diversi, ma poi all’aeroporto di  Tripoli gli addetti alla sicurezza mi faranno storie: non vorrà prendere a sassate i passeggeri dell’aereo?

Quarta tappa
L’ultimo giorno dobbiamo correre la tappa più impegnativa, soprattutto per l’orientamento. Leggendo le note non passano due km che non devi cambiare rotta.  Ora a 340°, poi a 20° e quindi di nuovo a 320°. Al briefing  Fiorini è molto esplicito: fate attenzione o vi perdete.  Partiamo su di un terreno abbastanza duro anche se la sabbia è comunque un po’ ovunque e pronta a tradire. Siamo diventati però esperti a valutare il terreno davanti a km di distanza, e i tratti da fare a piedi alla fine si ridurranno a poche centinaia di metri.

Come al solito vado via deciso e per la seconda volta  arrivo solitario al traguardo. Un po’ di apprensione solo nei km finali, dove ritrovatomi nella convergenza di diversi canyons, tribolerò a trovare quello giusto. Kurt Ploner, sulle mie tracce, è arrivato secondo. Vedendo all’improvviso apparire una moltitudine di segni di gomme sulla sabbia ha cominciato a preoccuparsi: pensava fosse tutto il gruppo di ciclisti misteriosamente arrivato fin là prima di lui. Ma ero io che andavo e tornavo indietro, per verificare il giusto CAP (posizione riferita  con la bussola).

Arrivano al campo anche i libici che per tutta la durata del rally ci hanno accompagnati. Sui loro fuoristrada non manca mai qualche tronco con rami secchi e sterpaglie caricate sul tetto. Di notte il fuoco  è un rito importante, ma non è facile trovare legna nel deserto. Quando ci si muove occorre essere previdenti e raccogliere ciò che si trova per strada, e attraversando gli Ouadi (il letto di antichi fiumi) è facile incappare in arbusti secchi. Allora si caricano sulla jeep per fare il fuoco e preparare il tè per la sera .

Finiva cosi questa mia prima esperienza, da biker, di gare nel deserto. Personalmente, visto che siamo in Libia potrei riutilizzare l’anonima frase scritta nella battaglia perduta ad El Alamein: “mancò la fortuna, non il valore… ma che importa, in fondo”.
E’ stata un esperienza veramente intensa, e spero che leggendo le mie vicissitudini venga la voglia anche a qualcuno di voi di andare a prendere un tè nel deserto.

 

Classifica finale

  1. Lenzi GianVirgilio
  2. Algeri Luigi
  3. Morelli Alberto
  4. Ploner Kurt
  5. Serra Vittorio

testo di Vittorio Serra
web-editing SP