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SEPULTURA
Cagliari, Arena Ichnusa 26 luglio 2003.

L’urlo selvaggio di 2.000 fans accompagna l’ingresso on stage dei Sepultura, per un concerto in qualche modo storico.
E’ la prima volta, infatti, che una band metal di livello mondiale, una delle più grandi nel suo genere, approda nell’isola.

Grande evento doveva essere e grande evento è stato, con il combo brasiliano che per settantacinque minuti ha deliziato la platea con furiose sferragliate di chitarra e potenti accelerazioni di ritmo, creando un muro sonoro compatto e irresistibile.

Metal, hardcore, etno, trash, tribal: i Sepultura hanno confermato l’assenza di barriere stilistiche che ha consentito loro di creare un proprio, inconfondibile, marchio sonoro.

Si parte davanti a centinaia di magliette carioca con “Corrupted”, ma è solo con “Slave New World” che sotto il palco si scatena il pogo; la temperatura si fa incandescente e la tensostruttura diventa un campo di battaglia.

Si agita come un forsennato il drummer Cavalera, vero protagonista del sound live della band, signore del ritmo e costantemente illuminato dai fasci di luce. Tutto ruota intorno alla sue accelerazioni, con gli altri strumenti a fare il più delle volte da accompagnamento.

I riff violenti di Andreas Kisser, spesso in secondo piano, fanno capire come nei Sepultura la chitarra stia diventando uno strumento dalle linee musicali molto più scarne rispetto al passato.

La prima cover della serata arriva col terzo brano, ed è “Messiah”  del gruppo svizzero Hellhammer, a cui la band si è ispirata nei primi anni ’80.
Nel complesso, la scaletta pesca  a piene mani nel passato glorioso della band, e capolavori come Chaos AD, Arise e Roots sono ben rappresentati.

Meno spazio viene dedicato alle nuove composizioni che, obiettivamente, non reggono la vecchia produzione. Con qualche eccezione, per esempio “Come Back Alive”, brano di apertura dell’ultimo album presentato come bis, o “Apes of God”, con la potente ritmica di Cavalera che torna nei canoni del suo vecchio stile.

Nei brani storici il concerto vive i suoi momenti migliori: “Biotech is Godzilla (scritta insieme a Jello Biafra dei Dead Kennedys) viene riproposta in un medley con “Desperate Cry”, e resa ancora più accattivante dall’inserimento di un break strumentale di “Dazed and Confused” dei Led Zeppelin, quasi a dimostrare che i Sepultura non si considerano solo un gruppo metal. E infatti poco dopo viene proposta una cover degli U2, “Bullet the Blue Sky”, anno di grazia 1987, che il gruppo di Belo Horizonte ha registrato in un e.p. contenente anche brani di Public Enemy, Janes’s Addiction e Devo.

Riuscita l’interpretazione del pezzo, con atmosfere più dilatate  e meno ossessive, e le linee vocali di Green che si avvicina più ai canoni tradizionali del rock. Entusiasmo alle stelle e grandissimo coinvolgimento  anche per “Troops of Doom”, la canzone più heavy  della track list risalente al periodo death della band, allora alle prese con testi satanici. Nel bis,  l’immancabile “Roots Bloody Roots”, vero inno della band presentato da Green in lingua brasiliana, con cui si chiude il concerto.

Uno show che ha mostrato quanto i Sepultura siano ancora capaci, a quasi 20 anni dagli esordi, di produrre un sound potente e di sicuro impatto, pur in uno stile che guarda sempre più all’hardcore tradizionale.

Mauro Caproni