La religiosità
I santuari
I santuari, realizzati fra il 1300 a.C. e il 900 a.C., sono complessi comprendenti costruzioni di diverso tipo, destinate a scopi diversi: templi sacri, grandi rotonde per le assemblee politiche, ampli spazi recintati per gli affari e le contrattazioni, capanne per gli artigiani e capanne per il riposo dei convenuti.Tutto questo fa pensare che nei santuari si svolgessero grandi adunate nelle quali diverse tribù si ritrovavano insieme in occasione di eventi religiosi.
Presso i santuari nuragici è usuale, oggigiorno, che ci siano chiese campestri, nei pressi delle quali, in occasione di feste religiose cattoliche, si svolgono fiere: allora, accanto ai pellegrini si trovano i mercanti, i venditori di bestiame, gli artigiani e un numero di venditori di leccornie di ogni genere; non mancano i “cantadores” e i suonatori di launeddas (un tipico strumento sardo) o di organetto.
Questo accade oggi, ma non sembra azzardato immaginare che qualcosa di simile dovessero essere le grandi adunate nuragiche.
I templi a pozzo
La costruzione più importante del santuario era il tempio a pozzo dove si svolgevano le cerimonie legate al culto delle acque. I nuragici, infatti, avevano una religiosità di tipo naturalistico fondata sull’adorazione degli elementi della Natura, considerati come contenenti lo spirito divino: erano oggetto di culto le pietre, gli alberi e particolarmente radicato era il culto dell’acqua, piovana o sorgiva, considerata preziosa in una terra arida come la Sardegna.
I templi a pozzo hanno una struttura composta di tre parti essenziali: il vano di ingresso, al livello del suolo, la scala che scende nel terreno e il vano interrato, con la volta a falsa cupola. Sul fondo del vano interrato, ai piedi della scala c’è la fonte sacra. In superficie un recinto di pietre delimita l’area sacra.
In Sardegna esistono circa 40 templi a pozzo: notevoli sono quello del santuario di Sta. Vittoria di Serri (CA), quello del santuario di Sta. Cristina di Paulilatino (OR) e il pozzo sacro Su Tempiesu presso Orune (NU), che si discosta un po’ dalla struttura classica.
I tempietti a pianta rettangolare scoperti a Serra Orrios, preso Dorgali (NU), a Sos Nurattolos, presso Alà Dei Sardi (SS), a Cuccureddì, presso Esterzili (NU) erano sicuramente luoghi di culto, ma non conosciamo la divinità che vi si adorava.
Un altro tipo di culto era quello in grotta: nella grotta di Su Benatzu a Santadi (CA), dove sono stati ritrovati numerosi ex-voto, una stalagmite fungeva da altare e poco lontano c’era il focolare sacrificale; probabilmente si venerava una divinità sotterranea.
La Dea Madre e il Dio ToroOltre al culto delle acque i nuragici continuarono a praticare il culto della Dea Madre e del Dio Toro, potente coppia divina già oggetto di adorazione in età prenuragica.
Il Dio Toro e la Dea Madre, simboli di fecondità, rappresentavano per i nuragici l’essenza del divenire del loro universo, le due forze che unendosi generano la vita.
Il culto dei morti
Le tombe dei giganti
Il culto dei morti era essenzialmente fondato sulla coppia divina Dea Madre-Dio Toro e a questo sentire il popolo dei nuraghi diede forma nelle arcaiche e solenni architetture delle tombe monumentali: le tombe dei giganti.
Questo è il nome che in Sardegna hanno i sepolcri collettivi monumentali del periodo nuragico e nasce dalla credenza che tombe tanto grandi potessero servire solo a tumulare uomini giganteschi.
La tomba dei giganti ha una facciata semicircolare a forma di corna taurine, costituita da lastroni di pietra affiancati e confitti verticalmente nel terreno, oppure da un muro di grossi massi. Al centro della facciata semicircolare c’è una grande stele monolitica che reca, in basso, una porticina d’accesso alla tomba.
Lungo il semicerchio, all’esterno, ci sono alcuni sedili in pietra sui quali dormivano i parenti dei sepolti per comunicare con i loro cari attraverso i sogni: era questa la pratica dell’incubazione (dal latino incubo=dormo).
Tra le tombe dei giganti meglio conservate ricordiamo quella colossale di Li Muri, presso Arzachena (SS) e quella di Is Concias, presso Quartucciu (CA).
I nuragici comunque continuarono anche ad usare gli antichi tipi di sepolture come le domus de janas o le tombe a corridoio tra le quali degna di nota è quella di Sa Corte Noa, presso Laconi (NU).
I betili
Spesso di fronte alla facciata della tomba dei giganti è presente un piccolo menhir, chiamato in sardo betile. I betili, simboli fallici di fertilità, sono simili a piccoli coni di pietra sui quali talvolta sono scolpite piccole mammelle oppure due occhi: i betili mammellati simboleggiano la copulazione della divinità maschile e di quella femminile per riaccendere la vita ormai spenta nei defunti; i betili con occhi rappresentano invece una divinità a guardia dei defunti.
La ceramica
La ceramica dell’età nuragica ha molte affinità con la ceramica delle epoche precedenti anche se vengono introdotte nuove forme di vaso come le olle, i grandi tegami, le brocche a becco e le lucerne; le decorazioni, a impressione o a incisione, sono semplici e sobrie.
Dall’anno 1000 in poi sulle ceramiche nuragiche si nota l’influsso della produzione fenicia e greca: compaiono nuove forme e, per la prima volta, decorazioni dipinte. Le forme della ceramica nuragica sono dure, arcaiche e anche quando si ingentiliscono nelle linee o attraverso le decorazioni, mantengono un aspetto austero e forte.
I bronzetti
Questa arcaica austerità emana ancora oggi, dopo più di 3000 anni, dai bronzetti, piccole statuine di bronzo.
I nuragici sono maestri nella fusione dei metalli, in particolar modo del bronzo: spade, pugnali, asce bipenni, spilloni e altri oggetti rivelano una notevole perizia realizzativa.
Preparavano lo stampo di un dato oggetto scavando una matrice in un blocco di steatite, un pietra vulcanica resistente al calore, poi colavano dentro lo stampo il bronzo fuso che si raffreddava nella forma voluta.
I bronzetti erano realizzati, invece, con la tecnica della cera persa su matrici d’argilla e rappresentano il culmine dell’abilità tecnica degli artigiani-artisti nuragici; ma soprattutto esprimono in maniera diretta lo spirito di quel popolo.
I bronzetti rappresentano uomini, animali, navicelle votive, oggetti e avevano sia funzione di ex-voto, venivano offerti in dono alla divinità, ma anche pratica e ornamentale.
Sono oggetti stilizzati, ma precisi nel realismo dei particolari, e sono importanti documenti storici: rivelano, infatti, molti aspetti della vita sociale delle genti nuragiche e dell’ambiente naturale nel quale vivevano.
Le popolazioni nuragiche non ci hanno lasciato una documentazione scritta, perché ignoravano la scrittura, quindi soltanto con le testimonianze dell’architettura e dell’artigianato possiamo ricostruire, anche se solo parzialmente, il modo di vivere, le abitudini e la cultura di quelle genti.
I bronzetti riproducono strumenti di lavoro o di trasporto, come i carri e le navicelle; uomini di diverso rango sociale: capi, sacerdoti, guerrieri, pastori, suonatori, pugilatori, madri col proprio figlio; esseri soprannaturali dotati di molti occhi e di molte braccia, legati ad un mondo religioso del quale non riusciamo a capire pienamente i valori; animali domestici e non come buoi, pecore, mufloni, cinghiali, cervi, volpi, cani, colombe.
Solo il cavallo non viene riprodotto, segno che i nuragici non lo conoscevano.
La scultura
Gli scultori nuragici rappresentavano spesso nelle loro opere gli stessi nuraghi: ci sono pervenuti numerosi esemplari di nuraghe in pietra, argilla e anche in bronzo, provenienti dai santuari.
Molto più raramente rappresentavano figure umane: i cosiddetti pugilatori e arcieri (in realtà sono personaggi che agiscono in giochi sacri), ritrovati a Monte Prama, presso Oristano, sono le uniche sculture di epoca nuragica ritrovate in Sardegna. Le statue riprendono, in dimensioni sovrumane, le iconografie e i modelli stilistici di alcuni bronzetti.