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NATTEDDU CONOSCEVA I GRIFONI
Natteddu conosceva i grifoni.
Ricorda con enfasi i grandi uccelli
che si alzavano roteando sulle creste di Gorruppu.
Una volta il padre ne uccise uno, sorprendendolo mentre stava divorando la carcassa di una capra; racconta che lo scuoiarono e misero la pelle ad asciugare mentre le cince allegre la ripulivano dai brandelli di grasso.
Ricorda anche i grandi nidi dell’avvoltoio monaco,
issati in cima ai ginepri più grandi, e il volo dolce dell’immenso avvoltoio degli agnelli.
I primi due furono sterminati dalle esche avvelenate destinate alle volpi; il terzo scomparve perché era preda ambitissima dei cacciatori di professione.
Ve n’erano tanti allora sulla montagna; cacciavano di tutto e tutto vendevano. Era un commercio lucroso.
Periodicamente arrivavano procacciatori di trofei, che acquistavano pelli (muflone, martora, ghiro, gatto selvatico), bestie intere e anche animali vivi. Per i gipeti pagavano una fortuna.
Si racconta la leggendaria storia di due fratelli di Urzulei
entrambi latitanti, che contrattarono un futuro da esuli liberi, custodi di una grande villa nelle montagne svizzere, con la cattura di un gipeto vivo per un magnate di quel paese, appassionato collezionista.
La grande foresta che sovrasta la valle attira ogni anno molti colombacci in migrazione e grandi quantità di grasse tordele.
A insidiarli ci sarà l’astore sardo, arcigno e implacabile, che per il resto dell’anno caccia ghiandaie, merli e piccoli uccelli silvani.
Specie tutte ben note ai tanti Natteddu, così come l’esistenza segreta del geotritone, (Speleomantes supramontis), a volte osservato nell’umidità perenne delle grotte, o della bella natrice del Cetti (Natrix natrix cettii), rara e misteriosa.