LA MASCHERA
Il mascheramento, a Bosa, è all’insegna dell’estro e della libertà.
Senza dissonanze con lo spirito della tradizione, ci si affida alla creatività individuale.
Un tempo era sufficiente indossare la giacca al rovescio, girare il berretto e, come accade in altri luoghi dell’isola, cospargere il viso con s’oltigiu bruzhiadu, la fuliggine del sughero bruciato.
Le maschere, dietro ai carri, battevano sonoramente sos kobeltores (i coperchi di pentole) e s’attaidzu (le staffe del cavallo), sfregando un rudimentale strumento chiamato sa serraggia.
Ancora oggi i gruppi mascherati affollano l’informe “corte dei miracoli”: prima che sia carnevale gli attori del carnevale riempiono già le vie del centro.
Ma solo negli ultimi giorni l’euforia collettiva esploderà in tutta la sua intensità attorno a Gioldzi.
E’ il suo destino, la sera del Martedì grasso, bruciare sul rogo, ancora una volta.
Gioldzi, il simbolo del Carnevale che muore, è un enorme fantoccio imbottito di paglia e stracci, con una grossa botte per ventre, simile per molti aspetti a su mulmutone (lo spaventapasseri).
Durante il giorno, il canto de s’attittadora e delle le maschere vestite di nero ha drammaticamente e buffamente annunciato la morte di Gioldzi.
S’attittadora è vestita a lutto, con s’ishiakka (il corsetto), sa bunneddha (la gonna) e s’ishiallu cun sas randas (lo scialle con le frange).
La sera, tanti Gioldzi, danzanti maschere vestite di bianco, anime del carnevale morente, lucciole nella notte, inaugurano la sfrenata allegria di spettri e fantasmi che vagando e inseguendosi per le vie del centro, attenderanno pazienti l’alba del prossimo carnevale.