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LA SCENA
A carnevale, le strade di Ottana allargano i loro spazi all’incontenibile prorompere delle maschere: sembra quasi di sentirli, i campanacci de sos boes, confusi nell’aritmia del greve passo de sos merdules, a fare da sfondo ad una esibizione di cui anche il pubblico, alla fine, sarà parte.
E’ un disordinato corteo che riproduce mimeticamente, facendone un evento rituale, apotropaico e totemico, l’azione dell’uomo sulla bestia.
L’aggiogamento come avvenimento naturale, tipico del mondo agreste, si carica di simbologie soprannaturali, quasi demoniache: alla fine la specie umana si confonde con quella animale, a vincere è l’antropobovino, una sorta di bòe muliàche, figura drammatica e ambivalente, consueta nelle credenze profane della tradizione popolare barbaricina.
Il tutto diventa una performance basata sulla complementarità di azione tra merdules e boes.
Il merdule, impertinente e mordace, sostenuto nel suo incedere
pesante da un bastone, tiene legato (“insogau”) il boe tramite
una fune.
Il boe, sempre muto, tenta goffamente di limitare le smodatezze
e le aggressioni del suo conduttore il quale corona spesso la sua
azione scenica coinvolgendo e talvolta travolgendo il pubblico.
Intanto sa filonzana, tenendo in mano una conocchia avvolta
da fili di lana grezza (simbolo efficace della fragile vita umana),
minaccia continuamente di reciderli, quasi invocando la fine su
chi non le offre un bicchiere di vino.
Non è raro, infine, che la rappresentazione sia accompagnata da
s’affuente, un piatto di bronzo battuto ritmicamente con una
grossa chiave.