La scultura
La scultura monumentale fenicio-punica è rappresentata in Sardegna da alcune statue e da numerosissimi rilievi di carattere votivo.
Il materiale adoperato è la pietra: granito, trachite, arenaria, tufo, calcare e, raramente il marmo.
I materiali utilizzati erano troppo duri o friabili, per questo i fenici rinunciavano a rifinire le immagini con lo scalpello e ovviavano all’inconveniente rivestendo l’opera poco più che sbozzata, di stucco: come appare chiaramente nel Bes di Bithia, IV secolo a.C.
Talvolta però il rivestimento era assente ed il colore veniva dato direttamente sulla superficie della pietra (Bes da Karalis-Santa Gilla). L’unica scultura a tutto tondo di epoca fenicia scoperta fino ad oggi è l’Ashtart di Monte Sirai (di corrente artistica siro-palestinese), lavorata solamente nella testa, mentre il resto del corpo appare poco più che un pilastrino con qualche indicazione anatomica.
Tutte le altre statue (il Bes di Bithia (CA), i due Bes da Maracalagonis (CA), il Bes da Karalis (CA) e quelli di Fordongianus (OR), la sfinge da Karalis ed il leone da Tharros (OR)) appartengono all’epoca tardo-punica o addirittura sono di tradizione punica in epoca romana (i due Bes di Fordongianus).
Gli altorilievi
Per quanto riguarda gli altorilievi, interessante appare la testa demoniaca scolpita nel soffitto di una tomba a camera ipogeica di Monte Sirai. Un altro altorilievo, di stile egittizzante, rinvenuto in una tomba di Sulcis, presenta l’immagine stante di un personaggio maschile, certamente non umano, ma divino o demoniaco.
Anche le statue del dio Bes mostrano un’iconografia egiziana mentre puramente ellenizzante è il leone monumentale da Tharros.
I bassorilievi
I bassorilievi scolpiti sulle stele presentano lo stesso panorama artistico: una corrente siro-palestinese, una egittizante ed una grecizzante; alla prima si riporta la stele sulcitana che presenta una figura maschile barbata con abito talare, scettro nella sinistra e la destra levata in atto di potenza e benedizione (secolo VI a.C.). Puramente egittizzante è un’altra stele sulcitana conservata nel museo di Cagliari dove l’immagine divina, che presenta sul capo la tipica acconciatura egizia ed è tutta chiusa in una lunga veste secondo uno schema rigidamente frontale.
Grecizzante è lo stile di alcune altre stele sulcitane, di livello artistico, talvolta molto elevato; esistono anche esemplari che documentano l’incontro e la fusione di tutte queste correnti artistiche.
Altre volte invece, una corrente artistica appare quasi schematizzata o portata a manifestazioni imbarbarite, come avviene in altre stele di Monte Sirai (ad esempio, quella col segno di Tanit antropomorfizzato), dove il gusto per la figura piatta si traduce in immagini espresse esclusivamente incidendo nella pietra i contorni e gli elementi anatomici principali, senza alcun accenno ai valori volumetrici.
Diverso giudizio si può dare su due esemplari isolati di bassorilievo, entrambi provenienti da Tharros e conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari: la “Danza Sacra” e il “Combattente che abbatte un mostro alato”.
Entrambe queste opere appaiono ardite nella concezione compositiva e vivaci nello stile ma soprattutto sembrano riecheggiare lo spirito dell’arte protosarda. Si potrebbe quindi ipotizzare che i due rilievi siano stati scolpiti da indigeni protosardi, ormai punicizzati.
I bronzi fenicio-punici
Per quanto riguarda la bronzistica, l’artigianato fenicio-punico è documentato in Sardegna da un certo numero di statuette votive, da alcuni torcieri, da grandi amuleti a forma di accetta, da numerosi braccialetti, fibule, aghi, anelli e alcuni specchi.
Non tutto il bronzo fenicio-punico è di sicura produzione locale: si è propensi a credere che i pezzi migliori (statuette e torcieri) siano stati importati dalla Fenicia o da Cipro.
I due torcieri di forma vegetale, rinvenuti a San Vero Milis e a Santa Vittoria di Serri, datati fra il secolo VIII e il VII a.C.:, sono pezzi di grande gusto estetico e decorativo. Tra le statuette egittizzanti menzioniamo quelle di Karalis e Tharros raffiguranti Iside e Osiride e quella ellenizzante da Genoni raffigurante un dio barbuto, stante e con tiara piumata.
L’oreficeria
Nell’oreficeria sono numerosissimi i prodotti rinvenuti in Sardegna. Il centro che ha restituito la maggior quantità di pezzi e gli esemplari più ricchi e pregevoli è senza dubbio Tharros: si tratta di oggetti d’oro e d’argento; la produzione è caratterizzata dalla lavorazione a sbalzo, granulazione e filigrana, di cui si hanno finissimi esempi in vari oggetti come i bracciali con capitelli, le palmette fenicie e lo scarabeo solare; complessi orecchini con falcone e pendente terminale a ghianda; un anello con castone d’oro su cui sono incise figure di grifoni e sfingi in posizione araldica , pendagli vari a forma di busto di divinità femminile in atto di premersi i seni come nutrice universale.
Le pietre dure
I fenici furono abili artigiani esperti nel lavorare la pietra: sono frequenti gli amuleti in pietre dure a forma di scarabeo, di origine egiziana.
Lo scarabeo doveva, generalmente, portarsi sospeso al collo, però poteva anche essere inserito in braccialetti e anelli.
Le pietre utilizzate erano il diaspro verde, la corniola, l’agata e i lapislazzuli, tutte lavorate con finezza ed eleganza; lo stile delle figurazioni è vario e, sostanzialmente si può distinguere in egizio e greco, con prodotti originali ed imitazioni.
Il vetro
Abbondantemente documentata, in Sardegna, è anche l’arte del vetro che compare attraverso due categorie fondamentali di oggetti di pasta vitrea: gli amuleti e i balsamari.
Gli amuleti
Gli amuleti riproducono di preferenza tipi iconografici di divinità egiziane e documentano in maniera esauriente la perizia tecnica degli artigiani produttori.
Un altro tipo di amuleto sono le maschere umane policrome che avevano in comune con gli amuleti egittizzanti esclusivamente la funzione magica. Famose per numero, dimensioni e pregio artistico, quelle che formavano un’unica collana (IV secolo a.C.), rinvenuta a Olbia e conservata nel Museo Archeologico di Cagliari.
In quei pezzi, nonostante l’ellenismo imperante nel mondo mediterraneo dell’epoca, tutto rivela la tradizione artigianale semitica: la rigida composizione dei volti, lo sguardo fisso e attonito dei grandi occhi, il gusto profondamente decorativo con il quale sono affrontate le barbe e le chiome ricciute.
I balsamari
La seconda categoria di prodotti vetrari è rappresentata dai balsamari: le fialette possono avere forma allungata a clava, o globulare o ad anfora classica e presentano la superficie decorata a strisce policrome (giallo, bianco, blu, marrone).
Il centro di produzione più probabile, sia per le maschere sia per i balsamari, pare essere la Fenicia, non esistendo alcun indizio che dimostri l’esistenza di una produzione vetraria sarda.
L’osso e l’avorio
La lavorazione dell’osso e dell’avorio da parte dei Fenicio-Punici non è documentata in Sardegna, ma l’isola ha comunque restituito alcuni manufatti pregevoli, come le lamine con figure di animali e decorazioni geometriche ritrovate a Nora, e i pezzi con palmette e pappagalli rinvenuti a Sulci e a Monte Sirai.
La ceramica fenicio-punica
La ceramica fenicio-punica è documentata in Sardegna da una grandissima quantità di reperti: è certo che, pur essendo ovvia l’importazione di singoli esemplari, la massa dei prodotti è stata eseguita nei laboratori ceramici dell’Isola.
La produzione ceramica fenicia del primo periodo è costituita da brocche con orlo a fungo, fiasche da pellegrino, orcioli, più una serie di vasi prodotti in Etruria e in Grecia.
Durante il periodo cartaginese si assiste alla prosecuzione dell’uso di vecchie forme ceramiche ed inizia ad arrivare nell’isola il vasellame prodotto ad Atene, sia decorato a figure nere sia interamente verniciato.
Fra le produzioni dei centri punici sardi, durante il V secolo a.C., spicca la ceramica con forme funzionali (piatti, coppe, brocche, anfore, lucerne a conchiglia), ma anche rituali (urne, doppie coppe sovrapposte), solitamente inornata oppure decorata con fasce di colore, o, raramente, arricchita di petali o foglie.
Nel IV secolo a.C. le officine locali fabbricano ceramiche dalle consuete forme (brocchette, piatti) e decorazione, ma anche forme particolari, come i vasetti a biberon alcuni dei quali a figura umana o i vasi plastici, generalmente zoomorfi, come l’askos a forma di colomba ritrovato a Tharros, o le forme con altri soggetti come il cavallo, la rana e un’arpia.
La scultura in terracotta
Per quanto riguarda la coroplastica (la scultura in terracotta) è anch’essa abbondantemente documentata in Sardegna e possiamo ritenere che la maggior parte dei suoi esemplari sia stata prodotta nell’Isola.
Le sculture fittili fenicio-puniche hanno sempre carattere religioso o magico, essendo immagini di culto, ex-voto od oggetti apotropaici.
Dal punto di vista stilistico la produzione è dominata da tre correnti artistiche, che si avvicendano e si intrecciano durante i secoli: una corrente siro-palestinese, quella egittizzante e quella grecizzante.
La prima, rappresenta i tratti anatomici in maniera sommaria e astratta ed è riscontrabile nelle statuette di Bithia Tharros e Narbolia: si tratta di figure intere di devoti rese più o meno sommariamente e talvolta nell’atto di indicare la parte del corpo di cui si era chiesta la guarigione.
Le maschere
La corrente siro-palestinese è presente anche in opere più rifinite come le maschere, sia quelle orride, tipo San Sperate e Tharros, sia quelle serene, come quelle policrome da Sulci.
La corrente egittizzante trionfa nelle maschere femminili provenienti da Tharros e nella statuetta che sembra la miniatura di un sarcofago egiziano, proveniente anch’essa da Tharros.
Quanto alla corrente grecizzante, essa è già presente nella maschera arcaica di Santadi-Pani Loriga e in molti esemplari provenienti da Tharros; il definitivo affermarsi di questa corrente si esplica in moltissime terrecotte tardo-puniche: dalla Demetra di Nora, fino alle terrecotte figurate di Karalis-Santa Gilla (immagini di divinità, animali sacri o singole parti del corpo, viste come ex-voto da offrire alla divinità guaritrice) e alle kernophoroi (perché recano sul capo il kernos-porta primizie) di Paulilatino, utilizzate come bruciaprofumi, ma anche come doni votivi offerti a Demetra.
Esistono comunque anche delle opere che documentano l’incontro e la fusione di tutte queste correnti come la Tanit Gouin da Tharros, la figura di un giovane da Sulci ed il Baal barbuto da Monte Sirai.