Vivere la Sardegna significa sentirne la voce. La lingua di un popolo è infatti cultura, evoluzione storica, tradizione e innovazione, specchio del movimento lento ma perpetuo degli uomini.
La lingua e la storia.
L’uomo giunse in Sardegna nel Paleolitico ma, stando alle conoscenze attuali, la sua fu una presenza sporadica e nulla si sa della lingua parlata in quel periodo.
Nel Neolitico genti diverse arrivarono dall’Africa, dalla penisola iberica e da quella italiana, persino dal lontano Oriente. Sul suolo sardo si incontrarono, si scontrarono ma anche si fusero dando origine alle prime culture sarde.
L’isola fu, durante i 4000 anni del Neolitico, la ‘terra dell’oro’: l’oro sardo era una pietra vetrosa di origine vulcanica, l’ossidiana, usata per costruire lame, punte di freccia e raschiatoi. Così gli abili navigatori neolitici attratti dall’oro sardo arrivarono nell’isola talvolta solo per scambi commerciali ma anche, spesso, si fermarono, alimentando con la loro storia le culture sarde preesistenti. I neolitici parlavano lingue mediterranee preindoeuropee, ma è difficile trovarne le tracce nel sardo odierno.
La Sardegna fino al periodo romano fu una terra-ponte fra tre continenti Asia, Africa, Europa; si trovava sulle rotte che conducevano i primi metallurghi mediterranei alle miniere di stagno francesi e le sue miniere fornivano il rame e il piombo. Su quest’isola interi popoli, mercanti, avventurieri entrarono in contatto, ciascuno con la propria cultura e con la propria lingua. Prese forma nei secoli un originale intreccio di razze, culture, lingue e le pietre,gli altipiani, le rocce aspre, le selve, il mare, la luce e gli orizzonti infusero in questi uomini il respiro unico della Sardegna.
Così nacque la civiltà nuragica, civiltà di architetti megalitici, di pastori-guerrieri, di raffinati metallurghi ma anche di abili navigatori. I nuragici non conoscevano la scrittura ma il sardo mantiene numerose tracce di quelle antiche lingue e innumerevoli sono i nomi di piante, animali e i toponimi riferibili alle lingue nuragiche.
Intorno all’anno 1000 a.C. arrivarono in Sardegna i primi mercanti fenici, maestri nell’arte della navigazione e padri dell’alfabeto, parlavano il fenicio, una lingua semitica come l’odierno ebraico. Arrivavano dalle città di Tiro, Sidone, Biblo e sulle coste sarde insediarono i loro empori intrattenendo fecondi scambi commerciali con le tribù nuragiche.
Dalla fine del VI sec. a.C. la Sardegna divenne terra di conquista: nel 509 a.C. l’isola cadde sotto il dominio di Cartagine, una città-stato fenicia sita sulla costa dell’odierna Tunisia.
Il sardo odierno conserva tracce, seppur sporadiche, dell’antica lingua fenicia.
Roma conquistò l’isola nel 238 a.C. e la Sardegna fu romana per circa 700 anni anche se le zone intorno al massiccio del Gennargentu, le Barbagie, rimasero sempre terre irredente e le rivolte contro Roma furono frequenti.
La forza di Roma fu soverchiante non solo militarmente, ma anche e soprattutto culturalmente: il latino si sostituì alle lingue precedentemente parlate in Sardegna e nel tempo l’ossatura del sardo divenne marcatamente latina.
Il sardo, fra le lingue romanze, è quella che sotto diversi aspetti è più vicina al latino.
Cadde l’Impero Romano e la Sardegna, dopo un breve interregno vandalico, divenne provincia dell’Impero Romano d’Oriente.
L’isola fu bizantina fino all’VIII sec. d.C.: alcune tracce linguistiche del greco-bizantino sono ancora presenti nel sardo.
Gli Arabi vessarono la Sardegna con le loro scorrerie dall’VIII sec. d.C. , più o meno continuativamente, fino al 1800; ma appunto di scorrerie si trattò e non di conquista. Così le tracce dell’arabo nel sardo odierno sono limitate a casi isolati.
Pisani, Genovesi e Catalano-Aragonesi furono in Sardegna a partire dal X sec. a.C., dapprima al fianco dei governi giudicali locali nel fronteggiare il pericolo arabo, poi in posizione di dominio su tutta l’isola.
Numerosi elementi linguistici del pisano (soprattutto nel Sud), del genovese (soprattutto nel Nord), del catalano (dal Sud fino al Centro) penetrarono massicciamente nel sardo.
Dopo aver fatto parte della Corona d’Aragona la Sardegna fece parte dell’ Impero Spagnolo: l’isola rimase spagnola per più di tre secoli e lo spagnolo (castigliano) penetrò notevolmente nel sardo soprattutto nel Nord. Le due lingue iberiche, castigliano e catalano sono quelle che insieme al latino e all’italiano caratterizzano maggiormente il sardo.
La Sardegna passò dalla Spagna ai Savoia, dopo un breve interregno austriaco, e anche del piemontese vi sono tracce nel sardo.
Il regno sardo-piemontese divenne Regno d’Italia e con l’unificazione politica cominciò il lento processo di unificazione linguistica che coinvolse anche la Sardegna. Da quel momento, sul piano linguistico in Sardegna si delineò una stato di convivenza del sardo e dell’italiano. Un bilinguismo tuttora esistente e riconosciuto oltre che sul piano linguistico anche su quello culturale e politico.
L’elemento paleosardo
Le parole del periodo nuragico e prenuragico che ancora oggi sopravvivono nel sardo sono prevalentemente nomi di piante, di luoghi, di formazioni geologiche. Ecco qualche esempio:
giàra: è un termine che nella zona del Sarcidano è usato per indicare i tipici pianori basaltici , detti is giàras appunto, dove frequenti sono i nuraghi e i santuari nuragici;(Giara di Gesturi, Giara di Serri).
nurra: questa parola indica una forra, una gola di montagna e ha la stessa radice nur- della parola nuraghe che molto probabilmente significa “mucchio cavo di pietre”.
muflone: questo, probabilmente, è il caso unico di una parola sardo-corsa preromana penetrata nell’italiano attraverso il latino. Il muflone è una specie di pecora selvatica che vive nelle zone impervie dell’interno dell’isola; in Sardegna è chiamato muvara, mugrone.
gon-: è una radice che si trova in Sardegna presente in numerosi toponimi come i paesi di Goni, Gonnesa e Cala Gonone; probabilmente significa collina, montagna.
toneri: così sono chiamati nel centro dell’isola i caratteristici tacchi e torrioni calcarei tipici della Barbagia di Seulo e Belvì e dell’Ogliastra, come Perda Liana, nel territorio di Gairo, o su Texile(tejle), nel territorio di Aritzo.
Le parole fenicie nel sardo non sono molto numerose ma alcune sono ampiamente usate soprattutto nel sud dell’isola dove la presenza fenicia fu più forte.
mitza: indica nella Sardegna del sud una sorgente, una polla d’acqua e ancora oggi ha un significato simile nell’ebraico moderno che è una lingua semitica come il fenicio.
tsippiri: indica il rosmarino nel Campidano e nella Barbagia Meridionale.
L’elemento latino
Tra le innumerevoli parole latine alcune si trovano solo nel sardo e non nelle altre lingue romanze oppure nel sardo hanno mantenuto il significato originale che avevano in latino.
trebiri, intropedire: mantiene nel sardo il significato di ‘legare i piedi alle bestie’ proprio del termine latino originario interpedire
akina, ajina: in sardo indica l’uva. Acina in latino significava uva, ma già Catone usa la parola parlando dei singoli acini e con questo significato è passata nell’italiano.
petta, petsa: così è chiamata la carne di animale. Deriva dalla parola latina petia e tra le lingue romanze esiste, oltre che nel sardo, solo nel rumeno.
ladiri: su ladiri è nella zona del Campidano il mattone crudo prodotto impastando insieme il fango e la paglia. Ladiri deriva dalla parola latina later.
janna, genna: deriva dal latino janua che significa porta ed è ampiamente usato nel sardo con questo significato. Ci sono anche numerosi toponimi composti con la parola genna:, per tutti valga Gennargentu, il nome del massiccio centrale dell’isola.
L’elementogreco-bizantino
I primi documenti scritti in sardo risalgono al periodo giudicale intorno all’anno 1000 e spesso sono scritti con le lettere dell’alfabeto greco. I termini greco-bizantini, pervadono i documenti amministrativi ed ecclesiastici, mentre il sardo popolare ne rimane del tutto estraneo.
condaghe, kontake: è una parola derivante dal termine greco kontaki(on) (kondaki) che designa in sardo una raccolta di atti giuridici o sentenze;
cantare: che indica l’unità di misura di ‘100 libbre’ deriverebbe dal greco kantari (cantari) ‘quintale’ ed è termine ancora vitale nel logudorese e nel campidanese anche se in concorrenza col termine italianizzato kintari (it.quintale).
apeomu: significa bestemmia in campidanese. Deriva dal termine greco-bizantino apeucomai(apeukomai).
L’elemento pisano e genovese
Nel IX secolo, per influsso delle Repubbliche marinare di Pisa e Genova, il sardo inizia ad aprire le proprie frontiere linguistiche all’italiano; un legame culturale che da quel momento in poi non cesserà più.
becciu, betsu: è un vecchio toscanismo, significa vecchio.
diaderu: significa davvero e deriva dal toscano antico verdadiero.
Babbarrottu: così è chiamato il rondone a Sassari, deriva dal genovese antico barbarottu.
terdzebukku: è il tovagliolo nel logudorese settentrionale, deriva dall’antico genovese terdzebuka.
L’elemento catalano
Gli elementi linguistici catalani si ritrovano più frequentemente nella zona della Sardegna che va da Cagliari fino alle Barbage centro-meridionali.
leggiu: significa brutto, deriva dalla parola catalana lleig ed è usato in tutta la parte centro-meridionale dell’isola.
barduffula: è la trottola;dal catalano baldufa.
kullera: è il cucchiaio;dal catalano cullera
bartsolu: è la culla; dal catalano bressol
L’elemento spagnolo
Le parole spagnole sono frequenti nel sardo, soprattutto nella zona centro-settentrionale dell’isola.
ventana: finestra, è una parola spagnola diffusa quasi in tutta l’isola, da Cagliari fino al nuorese. Nel Nord invece per finestra si usa balcone.
kocciàri: cucchiaio, è usato nel Nord dell’isola; deriva dallo spagnolo cuchar: che indica il cucchiaio di metallo.
feu: brutto; è usato sempre nel Nord Sardegna. Deriva dallo spagnolo feo.
luegu: subito; usato in tutta la Sardegna, deriva dallo spagnolo luego.
L’elemento piemontese
Il sardo reca numerose tracce del periodo piemontese: sono termini perlopiù legati alle arti, ai mestieri oppure al gioco.
lavandinu: acquaio, trova riscontro nel piemontese lavandin.
briska: briscola, dal piemontese brisca