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LA FILOSSERA E LA RIPRESA

70.000 ettari coltivati a vite; export di vino superate, in valore, solo da quelle di grano e formaggio. Questi sono i numeri del XIX secolo.

Tutto questo crollò proprio verso la fine del secolo per la concomitanza di due elementi: la rottura dei rapporti commerciali con la Francia avvenuta nel 1888 e l’invasione della fillossera.

La fine degli scambi con la Francia fu causata dalla politica protezionistica del governo italiano che intendeva stimolare la nascente industria nazionale.

L’invasione della fillossera, un insetto parassita della vite, si manifestò per la prima volta nell’agro di Sorso; dal 1883 al 1912 si calcola che la Sardegna abbia perso oltre 42.000 ettari di vigneto.

La ricostruzione, lunga e difficile, avvenne grazie all’azione delle Cattedre Ambulanti di Agricoltura e del Consorzio Antifillosserico che divulgarono la tecnica dell’innesto dei vitigni sardi su ceppi di vite americana (barbatelle), resistenti alla fillossera.

Il dopoguerra
Nel dopoguerra ci fu una forte ripresa.
Ma il vino sardo rimase un vino da taglio destinato ad arricchire gli altri vini europei e nazionali. Le conseguenze? vini poco pregiati e pochi soldi per gli agricoltori.

Poi la Comunità Europea diffuse gli incentivi per l’espianto dei vigneti. E quel sistema produttivo, solo apparentemente robusto, crollò.

Ma il crollo fu l’inizio della riscossa.
A partire dagli anni Settanta, lo sforzo principale fu quello di migliorare la qualità dei vini più rappresentativi.

Il vigneto sardo sebbene ridotto sul piano quantitativo (poco più di 30.000 ettari) ha guadagnato notevolmente in qualità ed a curare i campi sono rimasti i migliori imprenditori, sia nel settore cooperativo sia in quello privato.