IL CANTO A TENORE
di Salvatore Corrias
Eco di festa, d’amore e malinconia, voce dolceamara che canta i misteri di un’isola, suono che echeggia, molle e brioso, le lente animosità della natura.
E’ il canto a tenore.
Segno distintivo di precisa identificazione culturale, il tenore sardo rappresenta significativamente una delle più antiche tradizioni musicali del Mediterraneo.
Il mondo pastorale
A sentirne l’eco, barbarica e quasi selvaggia, potreste pensare a sonorità desuete, a parole senza messaggio, oppure, ancora, a residui di culture musicali d’altri tempi.
Eppure, se andate in Barbagia e nel Marghine, nel Montiferru, in Baronia o nell’alta Ogliastra, sentirete quanto di più bello un’isola di musica possa offrirvi.
Il canto a tenore è senz’altro un momento centrale della vita culturale sarda, è la scena musicale delle più consuete manifestazioni di vita pastorale tipiche del centro Sardegna: lì la musica etnica si colora d’arcaico, la vita del pastore e i pulpiti della natura si fanno simbiosi di canto e melodia, il sentimento e l’espressione diventano arte, quasi magia.
Ogni forma di aggregazione, dal lavoro alla festa, rivela il forte spirito comunitario dei sardi: non c’è tosatura, non c’è ritorno dalle transumanze, banchetto o festa patronale che non siano coronate da su tenore.
Un tempo, il canto neutralizzava le lunghe solitudini del pastore solu ke fera, era segno di integrazione, forma di identificazione tra cantore e comunità.
Chissà, forse anche le bardàne, racconta qualcuno, erano incitate dall’incalzante ritmica del tenore.
La parola cantata
La comunicazione verbale, nel mondo del noi pastori, si avvale ancora di codici e meccanismi le cui forme, musicali e coreutiche, sono pressoché immutate:
il canto a tenore, oggi come un tempo, nasce dal desiderio che i sardi hanno d’incontrarsi, di parlare e raccontare, cantando.
La parola del tenore è creazione artistica, fiorita dalla penna dello scrittore, sgorgata già dalla vena del poeta improvvisatore o creata dalla fantasia di uno o più componenti del quartetto che canta.
E’ messaggio di gioia e invito al ballo, idillio e melanconica riflessione, preghiera e invocazione, idea politica, motto ironico o dotto insegnamento: misterioso e affascinante, il canto dà ritmo e calore alla parola, suscita cento e cento fantasie.
Si può cantare a boghe longa o a boghe nota (o boghe ‘e notte), eseguendo il canto a sa seria, con ampi e chiari svolgimenti del testo.
Oppure a boghe lestra, cadenzando il canto per la danza.
Molto bello è su dillu, vivace canzone a ballo, e su mutu, forma poetica che trova nel tenore specifiche modalità esecutive.
Tutto è affidato ad una perfetta polivocalità circolare, tonda come tondo è il ballo dei sardi.
4 le voci che agiscono, differenti per capacità tecniche ed espressive dei cantori:
- sa ‘oghe (“‘oche”, se si preferisce l’altra variante)
- sa mesu ‘oghe
- sa contra
- su bassu
L’assemblaggio vocale dà luogo a su tenore, denominazione più diffusa che troviamo anche nella forma di cussertu (a Mamoiada e nell’alta Baronia ), cuncordu (a Santulussurgiu, a Fonni e nella Barbagia di Ollolai), cuntrattu (ancora a Fonni e a Seneghe).
Una festa di suoni
Ascoltare il canto a tenore significa partecipare ad un rito, ricevere un messaggio sempre inedito, vivere l’emozione della festa.
Il suono diventa simbolo, figurazione, immagine festosa: potrete scorgervi la gioia del canto popolare, la solennità del canto religioso o la dolce malinconia del giovane innamorato, ma anche il tormento del bandito e il lamento della vedova, insomma, il racconto di un popolo, quasi la storia di un’isola intera.
Ogni strofa è intercalata da un nonsense: bimbò bimbò, bimbirimbò, lerellerellé cantano i solisti, modulando la voce con giochi di ricamo vocale e sillabale che accompagnano la voce conduttrice.
Un concerto che con ogni probabilità riproduce i suoni della natura: sa contra riprende il belato della pecora, su bassu imita il muggito del bue, sa mesu ‘oghe il sibilo del vento, sa oghe, infine, canta la parola.
E’ un gioco sapiente di parole e significati, fonemi, ritmi e metri, è un calibrato alternarsi di monodia e polivocalità, è tutto un festoso rincorrersi di suoni: la festa, in Sardegna è allegria di sapori e di colori, ma la festa con un gruppo che canta a tenore è anche animazione di suoni, di musica e poesia.
Il canto a tenore oggi
Il tenore gioca un ruolo di primo piano all’interno della storia culturale sarda: è documento storico, canto della memoria, musica che unisce antico e moderno, motivo di incontro per le nuove generazioni.
L’area di diffusione attuale è segnata da coordinate che portano da Alà dei Sardi a Villagrande Strisaili, da Scano Montiferro ad Orosei abbracciando tutto il nuorese e le barbagie.
Tra i tantissimi gruppi di canto, tutti diversi per i tratti stilistici che li contraddistinguono, alcuni rappresentano una tradizione canora esemplare:
- i tenores di Orgosolo si distinguono per la durezza e la mono-tonia del canto
- i tenores di Orune per la ricchezza delle modulazioni
- i tenores di Oniferi per la forza, l’estro e l’incisività delle voci
- i tenores di Fonni per lo stile vocale morbido e arrotondato e l’emissione vocale quasi rilassata.
Oggi, inoltre, si assiste a forme di contaminazione tra canto tradizionale e sonorità moderne: da anni, oramai, gruppi come i tenores di Bitti e i tenores di Neoneli conducono felici connubi con artisti molto noti al pubblico.
Ma gli esiti artistici migliori si registrano laddove la smania del moderno non ha turbato l’esclusività del canto sardo, magari col rischio di dirottarlo verso soluzioni musicali dall’acre sapore commerciale.