LUXIA RABIOSA
Spesso le rocce della Sardegna hanno un nome e un’origine, spesso sono dei veri e propri monumenti cui gli uomini danno particolari significati; ma se si chiede il nome di una roccia dalle fattezze umane, allora la risposta, probabilmente, sarà una sola: quella che vedi è “Luxia Rabiosa”. Tutto ciò che può assomigliare a montagne di grano, a cumuli di paglia, ma anche agli strumenti per lavorare la terra o per fare il pane, tutto questo è legato a lei. E’ un personaggio veramente strano, la Luxia, cambia un po’ il nome ma è sempre lei, la donna tanto ricca quanto avara, o la madre irata cui hanno strappato i figli. Chi racconta della sua avarizia, assicura che per questo suo non dare fu tramutata in pietra insieme ai suoi averi; oppure, in qualche altra versione, ella stessa, per paura, tramutò tutto in dura roccia. Vicino ad Esterzili si trova un tempietto nuragico dove alcuni narrano che Luxia nascose il suo tesoro; ma fu molto furba perché mise due grossi orci e solo in uno il tesoro. Nell’altro mise un insetto insidioso, la “musca macedda”; sbagliando orcio si sarebbe scatenata l’invasione delle mosche, nessuna speranza di sopravvivere, tutte le persone del circondario sarebbero morte. Gli orci sono ancora lì.
Altro luogo, altro racconto: la giovane Giorzìa Raiosa, con la corbula (cesto fatto di fili di giunco intrecciati) in testa, sta portando il pranzo ad un gruppo di uomini che lavorano nei campi. Incontra un uomo, un mendicante che le chiede cosa trasporta; l’uomo è visibilmente affamato e saputo del cibo della corbula, chiede a Giorzìa di dargliene un po’. Ma il cuore della donna è di pietra e, per nulla mossa a pietà dal misero aspetto dell’uomo, gli nega l’aiuto. Il mendicante allora, svelatosi Dio in persona, la maledice tramutandola in pietra.
Alcune leggende la vogliono enorme, una gigantessa, forse della stessa stirpe dei costruttori dei nuraghi. Tutto in lei era grande, persino i seni, troppo grossi dovevano essere tirati dietro le spalle.
Se ogni storia ha particolari originali, varianti e variabili caratteristici, è anche vero che esistono alcune costanti, tutte ad esempio finiscono male per Luxia, tramutata sempre in dura roccia. È probabile che allora la matrice sia la stessa, che fosse una leggenda legata ad una dea della terra venerata dai protosardi, forse un culto legato al mito di Demetra, madre che dopo aver perduto la figlia il dolore tramuta in pietra, comunque sia è una delle storie più popolari della Sardegna e ancora, se si ha la pazienza di ascoltarla, alcuni la raccontano.
SA FILONZANA
Attenti! Attenti! Arriva sa filonzana. Arriva con la sua gobba tanto pronunciata che quasi la spezza in due, arriva vestita di nero, con il volto coperto da una maschera orribile, cattiva e ambigua. Quel che tutti temono è il filo che tiene fra le mani; lei è la Parca sarda, quella che conosce il nostro destino, quella che assottiglia o spezza la nostra vita.
La figura, conosciuta in gran parte della Sardegna, è tipica del carnevale isolano; spesso compare alla fine della sfilata, quasi un monito dopo la baldoria tipica della festa.
La gente la teme e la rispetta ma non la gradisce; ha infatti una gran brutta fama, anche se nessuno sa da dove derivi.
La notte dei tempi, forse, l’ha vista nascere ma i racconti popolari non ne hanno conservato l’origine.
Alcuni dicono che la figura un po’ macabra de sa filonzana, accompagnasse i ragazzi a fare una sorta di questua nella notte di capodanno; ogni porta del paese doveva spalancarsi e regalare frutta secca e dolciumi. La presenza della “filatrice” doveva assicurare una buona riuscita della questua. Ma per chi non si dimostrava generoso, era inevitabile sentirsi rivolgere frasi o proverbi tradizionali di malaugurio.
TOMASU VOE
Il “bue Tommaso” gironzolando per le campagne non ha, certe volte, vita facile. Potrebbe incappare in un vecchio contadino che lo prende tra le dita e lo infilza a zampe in su, sì a zampe in su anche perché il “bue Tommaso” non è altro che uno scarabeo. In Sardegna quest’insetto non è uno dei tanti, uno qualsiasi; messo in questa scomoda posizione deve, infatti, far levare il vento e tutti lo contemplano e lo minacciano “starai lì finché non avrai fatto il tuo dovere”; se poi c’è bisogno di pioggia, allora è ancora peggio, è necessario, infatti, farlo a pezzi: solo il suo sacrificio donerà pioggia alla terra arida.
Piove troppo e le sementi ormai annegano? allora tutti attenti a non calpestare il “bue Tommaso” se no la pioggia non cesserà.
Tutta una serie di storie, molto simili tra loro che vedono come protagonista Tomasu Voe, lo scarabeo. In alcuni racconti popolari però non è un insetto ma un servo o un semplice contadino oppure il nome indica semplicemente un toponimo, un luogo, Punta Tomasu Voe, Nuraghe Tomasi.