nella grotta del bandito | Tiscali: i nuraghi sotto la roccia | il pastore del Supramonte
IL PASTORE DEL SUPRAMONTE
Nel Supramonte c’è stato, sino a pochissimo tempo fa, l’uomo pastore, una figura straordinario di totale adattamento alle difficoltà dell’ambiente.
La figura del pastore del Supramonte è stata sempre poco conosciuta, per niente capita, giocoforza emarginata sino allo scontato binomio pastore-bandito.
E invece una figura passata attraverso secoli di tragedie, di sangue, di lutti incompresi e incomprensibili per chi li guarda con l’ottica di città.
Privazioni di ogni genere hanno tormentato la sua esistenza modellandola a pratiche immediate di mera sopravvivenza con problemi contingenti di acqua e di gelo, di pascolo e di aquile, di epidemie e di male annate, di scontri con miserabili come lui per la difesa dei pascoli e del bestiame.
Così risulta irrimediabilmente in ritardo rispetto ai ritmi della nostra quotidianità, ai problemi del vivere cittadino, ma estremamente efficace nell’ostica impresa di riuscire a campare in un ambiente sempre avaro.
Trascorrere una, due, dieci serate con lui, nella sua antica capanna, è tuffarsi di botto in un’altra dimensione, assaporare il gusto di quando l’uomo viveva con l’incertezza pratica del domani, un domani mai legato ai suoi programmi ma agli umori delle stagioni.
Si sta insieme intorno a su fochile, quattro pietre disposte a quadrato con al centro il fuoco, con il fumo che sale impregnando tutto.
Si mangia un boccone di ricotta e formaggio fresco e si parla di annate buone e di pioggia che non arriva, di capre disperse e di predazioni di volpi, di avvelenamenti da ferula e di avvistamenti di aquile e dei tanti «se» e «speriamo» che condizionano il suo domani.
Sono queste le prove che lo hanno temprato e preparato ad essere sempre pronto a tutto.
Fuori, in un buio totale, compatto, antico, di quelli che ci ripropongono istintive, ancestrali paure dovute all’abitudine alla luce perenne della nostra città, fiere diverse vagano uccidendo e restando uccise in un gioco eterno che ha per posta la continuità della vita.
Oggi di pastori in Supramonte, salvo locali eccezioni, ne sono rimasti davvero pochi e sos pinnetos, le sue capanne in muro a secco e copertura in travi e frasche, autentici capolavori di architettura primitiva, vanno in rovina.
Il pastore è andato via da quei monti ed è giusto che sia così.
Perché quel suo modo di vivere, sicuramente velato di crudo romanticismo per chi sta in città e ha tagliato le radici con la natura ed ha perciò bisogno di sapere che ancora c’è chi vive in un certo modo, è basato su rinunzie improponibili e comunque non può garantirgli, nel migliore dei casi, nient’altro che una grama esistenza.La sua è una storia superata e i suoi pinnetos, le arule ricoveri per i maiali o s’edile dove custodiva le capre, devono diventare autentici monumenti da custodire gelosamente quale testimonianza della sua arcaica fatica.
[foto dall’alto:
[- Murale a Orgosolo, di Piero Rinaldi
[- Ginepro Scheletrico, di Domenico Ruju
[- unu pinnettu nel Supramonte di Baunei, di Piero Rinaldi