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Paleolitico superiore
Nel periodo finale del paleolitico superiore (35.000 a.C.) il paesaggio delle coste galluresi era molto diverso da quello attuale.
I rilievi di Tavolara e Molara erano divisi da un profondo alveo fluviale e Molarotto (nella foto a sinistra) costituiva l’ultima altura prima del mare aperto.
A nord di Tavolara un’ampia laguna era separata dal mare da un lungo cordone sabbioso.
Tutte le isole attuali erano raggiungibili camminando sulla terraferma attraverso zone di macchia mediterranea e di boschi.

Neolitico medio
Nel neolitico medio, circa 6000 di anni fa, nella fase finale della risalita del livello del mare le isole erano ormai tali anche se mancava ancora qualche metro d’acqua per dare loro l’aspetto attuale.
La prima presenza certa dell’uomo risale a questo periodo ed è attestata in una zona, la Grotta del Papa, in cui l’accesso via terra era allora ed è oggi quasi impossibile.
La grotta prende il nome dalla guglia che sta nelle vicinanze, la cui forma ricorda un pontefice con la tiara sul capo.
La grotta, purtroppo a lungo saccheggiata, rivela ancora tracce di frequentazione che documentano una delle più antiche culture sarde quella di Bonu Ighinu  (neolitico medio).
Recentemente sono state scoperte anche alcune pitture rupestri, che raffigurano uomini stilizzati e che sembrano risalire alla fase finale del medesimo periodo.
L’antro, accessibile solo dal mare, si apre con una grande bocca che porta ad una prima sala interna a più piani. Uno stretto passaggio, parzialmente allagato, mette in comunicazione con una seconda sala, in parte invasa da argilla, dove le concrezioni, le stalattiti e le stalagmiti sono ben conservate.
Di qui si può accedere ad altre sale ancora da descrivere e rilevare.
È probabile che la grotta fosse considerata un luogo di culto o di sepoltura.
La frequentazione umana dell’antro da allora fu ininterrotta, come testimoniano reperti di età romana, e probabilmente solo in epoca moderna perse la sua sacralità.
(nella foto a lato, Paramuricea nella Secca del Papa)

La presenza umana nell’isola
Ai pochi elementi disponibili nella terraferma per raccontare la storia della presenza umana sulle isole si è aggiunta, negli ultimi 4 anni, una notevole quantità di informazioni provenienti da ricerche archeologiche subacquee e da alcuni sopralluoghi sulle piccole isole.
Tavolara è all’imboccatura del grande golfo che conduce a Olbia, fondata dai punici nella prima metà del IV secolo a.C., ed ha perciò una posizione strategica e di crocevia di una gran quantità di traffici marini.
Inoltre, sembra essere al centro di un sistema di postazioni militari fisse collocate ai due estremi del golfo, dove sono attestati, da evidenze stratigrafiche, oltre 600 anni di frequentazione continua a partire dal IV-III secolo a.C.

L’archeologia subacquea
Sott’acqua oltre 70 giacimenti archeologici, di diverse tipologie, coprono un arco di tempo che va dal III secolo a.C. all’età moderna.
Ed il lavoro di prospezione non è ancora concluso.
La gran quantità di reperti subacquei testimonia come la presenza diffusa di secche e piccoli scogli emergenti rendesse problematica la navigazione. Lo mostrano anche i molti relitti moderni visibili sia su scogli emersi, che ai piedi di scogliere sommerse.
Inoltre il regime dei venti, molte volte di origine locale, crea tra le isole condizioni particolari.
Tavolara si eleva su un paesaggio mediamente molto più basso e determina stati del mare non sempre prevedibili, al punto che spesso i ridossi sono collocati sul lato opposto di dove dovrebbero essere secondo logica.
Che la navigazione non fosse sempre tranquilla lo testimoniano anche i vecchi abitanti di Tavolara.
Un tempo, nel periodo pasquale caricavano sulle imbarcazioni a remi, usate anche per la pesca, gli agnelli da vendere in terraferma; la partenza era certa, ma, se c’era il ponente e c’è spesso, non sapevano ne quando né dove sarebbero arrivati.
E così i compratori erano costretti a seguire dai promontori lungo costa la rotta delle barche per individuare l’approdo in cui avrebbero potuto concludere l’affare.

Relitti sommersi
La gran quantità di relitti sommersi (foto in basso, Teddja Liscia) non è da addebitare solamente alle difficoltà di navigazione, ma attesta anche l’intensità e le modalità dei traffici nella zona.
Il rinvenimento di numerose imbarcazioni o resti di carico di dimensioni contenute porta a supporre che vi sia stato un periodo, in epoca romana, in cui le grandi onerarie non si avventuravano sottocosta e la distribuzione dei carichi veniva effettuata con imbarcazioni più piccole, puntando direttamente ai numerosi insediamenti sparsi lungo la costa.
Questa modalità di distribuzione delle merci è forse da mettere anche in relazione con i periodici interramenti subiti dal golfo di Olbia, per gli apporti di materiali da parte del Rio Padrongianus, che sbocca proprio al suo interno.
Le isole inoltre dovevano rappresentare importanti punti di riferimento lungo le rotte per la possibilità di approvvigionamenti di acqua e di cibo.
Infatti, oltre ad offrire abbondante selvaggina, erano più sicure rispetto al rischio di contrarre la malaria, diffusa invece lungo la costa.
Sott’acqua sono conservati reperti di diverso tipo: parti di scafi in legno, ancore, carichi di anfore e vasellame, manufatti in pietra, grandi ziri (grande orcio).
Molti di questi ritrovamenti hanno rappresentato novità rispetto al panorama delle conoscenze precedenti, ma soprattutto hanno consentito di mettere a disposizioni nuovi elementi di interpretazione della storia di Olbia, il centro politico e commerciale più importante nell’antichità in Gallura.
Inoltre, appena fuori dall’area che circonda le isole, nel golfo interno di Olbia, il rinvenimento di una testa di statua di Ercole in terracotta, di produzione locale su modello ellenistico, ha posto le premesse per una rilettura della fondazione della città e del tipo di comunità e di cultura sviluppatesi in essa.
Il lavoro fin qui svolto si è limitato al controllo, alla identificazione e datazione dei giacimenti.
Molti siti richiederebbero scavi approfonditi per aggiungere informazioni importanti.
Ma c’è gia qualcosa di pronto in qualche cassetto del Ministero dei Beni Culturali, in attesa di tempi migliori.
È pronto per quando vi saranno garanzie di tutela tali da permetterne la gestione, condizioni che solo l’istituzione del Parco di Tavolara – Capo Coda Cavallo può consentire.
Si tratta di un progetto, elaborato dalla Soprintendenza Archeologica di Sassari e Nuoro che ha diretto le ricerche, per la organizzazione di un parco archeologico subacqueo che consenta di osservare, attraverso opportune visite guidate, i giacimenti antichi che arricchiscono i fondali di Tavolara, Molara e Capo Coda Cavallo.

 

 

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